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sabato, Luglio 27, 2024
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Il futuro mi fa paura

Il futuro non lo conosco, ma mi fa paura. Il passato l’ho visto e c’è una gran parte di esso che non rimpiango affatto. Contemporaneamente, esiste una parte del passato che potrebbe essere l’unica alternativa nel momento in cui il “futuro” diventa un incubo. Sarebbe brutto, molto brutto se un giorno ci svegliassimo e qualcuno da un posto lontano lanciasse il grido “si salvi chi può”, perché noi essendo tra i più deboli saremmo i primi a perire.

 Quando il “futuro” diventa un incubo non ci resta che recuperare il passato, magari portandoci dentro la parte migliore del presente. In pochi anni, siamo passati dall’Internazionalismo quale “futura umanità” al nazional-razzismo. Dalla globalizzazione all’ “America First” che ha trovato imitatori in tutto il mondo pronti a dire “prima La Russia”; “prima la Cina”; prima L’Italia o la Francia.

Siamo ritornati al peggiore passato.

Il passo successivo è la folle guerra che infuria in Europa e la tensione in Asia come possibile preludio ad un conflitto nucleare.  Una pazzia tale che richiederebbe la camicia di forza e il ricovero coatto in un manicomio criminale per coloro che solo la ipotizzano.

Il futuro non lo conosco, ma mi fa paura. Il passato l’ho visto e c’è una gran parte di esso, fatto di miseria, privazioni, sofferenze, ingiustizie, che non rimpiango affatto. Contemporaneamente, esiste una parte del passato che potrebbe essere l’unica alternativa nel momento in cui il “futuro” diventa un incubo.

Provo ad immaginare ciò che ho già visto: i campi seminati a grano, il terreno terrazzato ed ordinato in ogni suo angolo, le montagne piene di alberi, le distese grigio-verdi di ulivi. Il muggito dei buoi e il belar delle greggi al pascolo.  Le api e le farfalle. Tutto ciò non può e non deve significare schiene curve dall’alba al tramonto, donne e uomini costretti a trasportare pesi sulle spalle o sulla testa, prepotenze ed ingiustizie.

Non è l’Arcadia!

Forse potrebbe essere l’alternativa alla sesta estinzione della vita sulla terra. In questo momento l’Umanità è chiamata a riflettere su sé stessa e a frenare la corsa verso l’ignoto senza che ciò significhi regresso, perché non sempre “progredire” deve declinarsi in altro cemento armato, altro consumo del suolo, più disboscamento, più allevamenti intensivi per produrre pessima carne. Neanche pessimo turismo girando nel nulla, viaggi per fuggire da sé stessi e mezzi individuali di trasporto senza limiti.

Ma non propongo l’infelicità e meno ancora privazioni e sacrifici inutili.

Piketty è un grande scienziato, ed un importante economista e quando parla di ”decrescita felice” dimostra le sue tesi; il mio è un semplice ragionamento da uomo della strada che sa appena immaginare ciò che ha visto: i nostri paesi più belli e più umani, le nostre campagne di nuovo  fiorite.

Noi siamo abituati a ragionare come uomini del passato, invece ci troviamo dinanzi ad un bivio in cui il tempo potrebbe subire un’accelerazione folle verso il disastro e lo spazio potrebbe concentrarsi annullando le distanze ed, a quel punto, non ci aiuteranno i progetti faraonici, la logica del PNRR almeno per come è stato concepito dalle nostre parti, le fughe in avanti che caratterizzano il dibattito nel presente.

Sono assolutamente consapevole di essere uomo del passato, di appartenere ad un’altra epoca, ma proprio per questo mi fa paura vedere i giovani entrare a fitte schiere nel futuro preparato da noi. La crisi attuale può essere l’occasione per un’autentica “rivoluzione” politica e culturale per un nuovo modo di vivere e stare insieme.

Perché la “comunità Umana” sostituisca l’egoismo sfrenato.

Alla crisi del cibo non si può rispondere affamando gli africani, i sudamericani e forse parte di noi stessi, ma rendendo di nuovo produttive le nostre terre. La guerra dovrebbe spingere il governo a stimolare la messa in coltura dei campi abbandonati.

Alla crisi energetica si risponde da un lato consumando di meno e dall’altro creando invasi sui torrenti in armonia con le valli, ed utilizzando le fonti naturali. Questo in Calabria sarebbe stato possibile, anzi è possibile.

Soprattutto dobbiamo far fronte ad una crisi di umanità che si riverbera in un surplus di stupidità, di cecità, di egoismo.

Sarebbe brutto, molto brutto se un giorno ci svegliassimo e qualcuno da un posto lontano lanciasse il grido “si salvi chi può”, perché noi essendo tra i più deboli saremmo i primi a perire. Saremmo ancora in grado di impedirlo, ma dipende anche e soprattutto da noi.

 

 

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