fbpx
sabato, Ottobre 5, 2024
spot_imgspot_img
HomeCalabriaLa sindrome del PD

La sindrome del PD

Oggi siamo alle solite, nessuna analisi, nessun progetto, la solita infima minoranza senza alcuna credibilità e radicamento nelle masse popolari e, soprattutto, senza alcuna possibilità di intercettare le speranze e la forza dei militanti e degli elettori cosiddetti di Sinistra.  La Sinistra italiana è la sinistra che gioca a perdere, quella che ha paura di governare che si accontenta delle miserevoli rendite di posizione fornite dal ribellismo viscerale. E la Calabria? Al solito vivrà nella sua marginalità di riflesso, piatendo qualche casella nella mappa del sottogoverno e accucciandosi all’ombra di mirabolanti promesse che anche stavolta non vanno oltre, ma guarda un po’, il… Ponte sullo Stretto.

 La sindrome risale al 1757, quando Charles de Rohan principe di Soubise, condusse le truppe austro-francesi a una disastrosa sconfitta nella battaglia di Rossbach, in Sassonia, contro i prussiani del re Federico II il Grande, e diventò il simbolo di chi si dà da fare inutilmente, a proprio danno o, peggio, a vantaggio della parte avversa.

La Sinistra italiana è specializzata in questa attività e ne ha dato più volte prova nel passato recente. La madre di tutte le sventure che si sono succedute dal 12 novembre 1989 ad oggi, è certamente la tragica “Svolta della Bolognina” di Achille Occhetto, un vero capolavoro di “tafazzismo”, che segnò la fine del PCI sul quale furono addossate tutte le colpe della Prima Repubblica, senza tener conto che era stato l’unico partito a mantenere la barra dritta sia in termini di legalità che di buon governo. Un patrimonio di passione politica, di serietà ed abnegazione gettato alle ortiche per mitomania e sudditanza alla deriva mainstream che vedeva nel crollo dell’Unione Sovietica la soluzione ai mali del mondo.

Successivamente la sindrome degenerò in “bertinottite” con la scellerata decisione di sfiduciare il governo Prodi, che spianò la strada al ventennio berlusconiano.

Oggi l’atteggiamento ondivago di Enrico Letta, ritrovatosi lui malgrado al timone di un partito presunto di sinistra, rischia di spianare la strada alla vittoria di Meloni e Salvini.

Molti fanno riferimento al legittimo risentimento di Letta nei confronti di Renzi e agli effetti del fin troppo noto calembour “stai sereno”, ma dimenticano il micidiale fuoco amico scatenato contro Renzi segretario e premier, considerato alla stregua di un politico alieno che, per chissà quale artificio, si era appropriato del partito e che bisognava quindi combattere con tutti i mezzi possibili. In quel momento storico, non esistendo altre forze alternative di sinistra, Renzi era quanto di più progressista si potesse avere in Italia. Poi, certo, Matteo ci mise del suo e agevolò la sua fine con incontrollate impennate narcisistiche, lasciando il campo a pattuglie sbandate di compagni indignati “a prescindere”, che in alcun modo potevano rappresentare “l’alternativa”.

Oggi siamo alle solite, nessuna analisi, nessun progetto, la solita infima minoranza senza alcuna credibilità e radicamento nelle masse popolari e, soprattutto, senza alcuna possibilità di intercettare le speranze e la forza dei militanti e degli elettori cosiddetti di Sinistra.

Nessuno pianifica seriamente una politica “riformista”, che al cospetto dell’Europa potrebbe aprire la strada a una maggiore flessibilità nei conti e a un’azione più convinta verso gli investimenti e ai piani del PNRR.

La Sinistra italiana è la sinistra che gioca a perdere, quella che ha paura di governare che si accontenta delle miserevoli rendite di posizione fornite dal ribellismo viscerale.

Il rischio è, al solito, quello di generare amarezza, scoramento e qualunquismo; è un’azione questa che, per dirla con il politologo Nunzio Mastrolia, ha provocato l’impoverimento del ceto medio che “si è degradato da popolo a folla”, il che vuol dire che attraverso gli strumenti della democrazia diretta si rischia di non esprimere “il volere di un popolo sovrano, ma gli umori, le pulsioni, gli scatti, il muggito della folla”. Tra popolo (demos) e folla (oclos), il rischio è l’avvento di un’oscurantista oclocrazia con al timone la donna della provvidenza.

E la Calabria? Al solito vivrà nella sua marginalità di riflesso, piatendo qualche casella nella mappa del sottogoverno e accucciandosi all’ombra di mirabolanti promesse che anche stavolta non vanno oltre, ma guarda un po’, il… Ponte sullo Stretto.

Franco Arcidiaco

 

 

 

- Spazio disponibile -
- Spazio disponibile -
- Spazio disponibile -
ARTICOLI CORRELATI

Le PIU' LETTE