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L’arte di continuare a vivere: questo si impara a Bova

Che lingua è una lingua che rimane senza parole? Che cultura è una cultura che non ha spazio per espandersi? Che rito è una rito che nessuno pratica più? Pasquale Faenza, coordinatore del progetto “Culture in movimento: alla scoperta delle eredità dei Greci di Calabria”, ci racconta l’eccezionale rinascita della Bovesìa, una regione che cinquant’anni anni fa rischiava di scomparire e oggi, a smentire le regole della selezione naturale e il logorio del tempo, è viva più che mai.

Com’è nato e in cosa consiste il progetto “Culture in movimento – alla scoperta delle eredità dei Greci di Calabria”?

Il progetto è stato realizzato dal Comune di Bova grazie al Fondo Unico per la Cultura 2020 della Regione Calabria “Iniziative trasversali volte a rafforzare il legame tra cultura e identità”; l’obiettivo principale è quello di evidenziare il carattere identitario dei Greci di Calabria, mettendo in luce la stratigrafia culturale di questa antica minoranza linguistica e al contempo mostrando in che modo il sapere si trasmette da una generazione all’altra. Il modo più efficace per raccontare una dinamica di questo tipo, ovviamente, è il materiale audio-visivo: per questa ragione abbiamo realizzato dieci video che illustrano la realtà etnografica dell’area grecanica e ogni video finisce per spiegare com’era fatta una certa cosa, come si svolgeva un certo rito, come si preparava una certa pietanza. Questa è la parte divulgativa del progetto, concepita per diffondere la cultura; esiste però anche una parte scientifica, realizzata grazie a un team di etnografici coadiuvati dal Centro di documentazione demo-etnoantropologico “Raffalele Lombardi Satriani” dell’Università Arcavacata di Cosenza. Loro hanno tradotto il materiale divulgativo in schede di catalogo: hanno ottenuto veri e proprio documenti di ricerca scientifica, che potrebbero risultare noiosi per molti, ma per gli studiosi del settore sono oltremodo affascinanti. Anche i video, in realtà, sono documenti: documenti di etnografia visiva.

preparazione delle palme

Etnografia visiva: ci dai una definizione?

In questo contesto, si tratta della possibilità di vedere una cultura che si muove, che cambia, che passa da una generazione all’altra. Per esempio, in uno dei video si vede una nonna che insegna alla nipotina come giocare con la rumbula, ossia con la trottola. In un altro, un giovane imprenditore che impara da un vecchio agricoltore come si intagliano le musulupare, ossia degli stampi di legno che servono per fare il formaggio. Intorno a questi video è stata concepita un’esperienza: il prodotto immateriale – dunque il video – è collegato al prodotto materiale presente nel museo G. Rohlfs di Bova tramite un sistema QR code: è sufficiente avere uno smartphone per accedere a questa galleria di tesori.

Ci fai un esempio pratico?

Praticamente, se si vede esposta una zampogna e si prova la curiosità di sentirne il suono, tramite il QR code si può accedere al video in cui un musicista bovese esegue un pezzo della tradizione.

musica tradizionale

Dunque questi video mostrano una cultura cristallizzata?

No, al contrario! Mostrano invece la vitalità di una cultura che è stata in grado di rinnovare se stessa e traghettare le sue tradizioni e la sua lingua fino al XXI secolo. Non dimentichiamo che si tratta di una cultura che è stata ad altissimo rischio di scomparsa. I video non mostrano cristallizzazioni, ma vitalità, energia, un attaccamento tenace alla sopravvivenza.

Quali sono le tematiche dei video?

Ce ne sono dieci e vanno dai giochi alle ricette tradizionali, dalle erbe medicamentose alla questione linguistica. La cosa più affascinante, quella che li rende unici nel loro genere, è che non spiegano solo dinamiche, non espongono solo oggetti, ma raccontano storie. Per esempio, nel museo abbiamo una piccola boccetta medica di chinino che da sola non significa niente, non attira affatto l’attenzione; ma legata alla storia della donna che l’ha usata si arricchisce di umanità.

racconto delle pandemie del Novecento

Mentre giravamo i video, abbiamo conosciuto una signora che ha vissuto ben quattro pandemie: oltre al covid, anche la spagnola, il vaiolo e una quarta malattia che lei ha definito morbo; ce ne ha parlato, ci ha descritto i rimedi tradizionali, ci ha raccontato della percezione che aveva la gente di queste malattie e anche di come i medici le affrontavano, spesso rifiutandosi di avvicinarsi al malato per paura; ci ha raccontato di come le persone evitavano di stare nella stessa stanza o di respirare una accanto all’altra: una pratica che ormai ci suona familiare. Grazie a materiale del genere ci si rende conto che la cultura è profondamente connaturata all’umanità ed è bellissimo avere l’opportunità di raccontarle insieme.

Il museo accoglierà più turisti o più abitanti del posto?

Il Museo è l’album di famiglia dei bovesi e dell’area grecanica. L’obiettivo è quello che chi lo visiti poi voglia conoscere il protagonista del video e capire come vive; inoltre, il turista ha l’opportunità di conoscere la visione di Rohlfs e dell’eredità che ha lasciato. Portare il fruitore sul territorio significa anche implementare l’economia: un’economia circolare di tipo culturale, un biodistretto grecanico, che possa contribuire allo sviluppo della tradizione senza privarla di nulla, forse arricchendola di qualche novità. La cultura è tante cose, fra queste è anche economia.

economia circolare

Il grecanico ha conosciuto una fioritura straordinaria: il rischio di scomparsa è stato finalmente scongiurato?

Temo di no: quella grecanica continua a essere una minoranza molto fragile e va trattata con tatto, come abbiamo cercato di fare nell’ambito del progetto. Tuttavia, i progressi che sono stati fatti relativamente alla tutela del patrimonio materiale e immateriale ci portano a credere che il destino dei Greci di Calabria sia legato allo  sviluppo culturale del paese; e questo, se declinato in modo corretto, potrà avere risvolti notevoli.

C’è stato un periodo, circa a metà del Novecento, in cui parlare dialetto grecanico era motivo di vergogna

Adesso invece è motivo di vanto, è un marchio identitario da difende e tutelare. Solo negli ultimi anni questo senso di appartenenza a una cultura specifica si è rafforzato; il risvolto pratico è la cura della tradizione in tutte le declinazioni: nel parlare il dialetto, nell’imparare a suonare la zampogna, nel preparare lo stesso piatto che preparava la nonna. Inoltre i social hanno contribuito a mostrare questo inestimabile patrimonio praticamente a tutto il mondo. No, essere grecanici non è più un motivo di vergogna. Al contrario, chi è greco di Calabria ne va fiero; chi non lo è, vuole imparare a esserlo.

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